MOLESTIE E TUTELA DEI MINORI NELLO SPORT, PAROLE ALL’ESPERTO

Con il D. Lgs 36/21, anche in conseguenza delle criticità messe in evidenze dall’emergenza COVID – il Legislatore ha approvato la riforma dello sport che prevede, tra l’altro, la predisposizione di modelli organizzativi e controllo attività sportiva (MOCAS) a tutela dei minori per la “prevenzione delle molestie, della violenza di genere e di ogni altra condizione di discriminazione”. Tali regole sono finalizzate a prevenire ogni tipo di discriminazione, dovuta a etnia, religione, disabilità, convinzioni personali, età; orientamento sessuale. In questo numero ospitiamo l’intervento dell’avvocato Felice Sibilla. Si tratta di un punto interessantissimo su alcune vicende legate al mondo dello sport. “L’adozione di questi modelli da parte delle singole ASD e SSD, secondo il diverso calendario previsto dalle Federazioni di appartenenza affiliate al Coni (in generale entro 12 mesi dall’emissione delle linee guida federali, ad esempio nel caso della FIGC con il Comunicato Ufficiale n. 87/A del 31 agosto 2023), sarà utile anche al fine di evitare la c.d. responsabilità oggettiva laddove si verificassero episodi oggetto della tutela normativa”. “Quindi, aggiunge l’esperto, se il modello organizzativo di cui al D. lgs 231/01 in ambito civile non è obbligatorio, in ambito sportivo è obbligatoria l’adozione dei c.d. MOCAS che dovranno integrarsi con i modelli ex Legge 231 laddove la Società sportiva abbia precedentemente adottato anche questo modello. Questo perché il c.d. modello 231 ed i c.d. MOCAS si pongono su due piani simili, ma sostanzialmente diversi: i primi sono volti principalmente a prevenire la commissione dei reati presupposto ai sensi del D.lgs. 231/2001 (ovvero i reati astrattamente configurabili a seconda dell’attività e del settore della Società); i secondi hanno lo scopo precipuo di prevenire, contrastare, ed eventualmente sanzionare, la commissione di tutti quei comportamenti contrari ai principi di lealtà, probità e correttezza propri del mondo sportivo, quali violenze, abusi e discriminazioni. In buona sostanza si tratta di una serie di principi e regole di prevenzione e gestione al fine di eliminare o quanto meno ridurre al minimo il verificarsi di determinate condotte e quindi delle conseguenze da esse derivanti, attraverso l’adozione di protocolli comportamentali, prassi virtuose, formazione, segnalazioni e comunicazioni ad Organi di vigilanza costituiti da hoc. Tutte le federazioni affiliate al CONI, (ad esempio la FIGC con il C.U. 68/A del 27/8/24; la FIDAL con delibera 71 del 12.5.23), hanno adottato un proprio regolamento che prevede l’adozione di ogni necessaria misura per favorire il pieno sviluppo fisico, emotivo, intellettuale e sociale delle atlete e degli atleti, la loro effettiva partecipazione all’attività sportiva nonché la piena consapevolezza di tutti i tesserati in ordine a propri diritti, doveri, obblighi, responsabilità e tutele. Il regolamento definisce il campo di applicazione a tutte le attività federali (compresa quella sportiva) a tutti i tesserati, individua i comportamenti rilevanti (abuso psicologico e/o fisico; molestie sessuali; bullismo e cyberbullismo; comportamenti discriminatori) e ne declina il significato; con particolare riferimento – e questo è sintomatico della maggiore sensibilità maturata dalla Società civile prima e dalla Legge dopo – non solo alle condotte di per se rilevanti (violenza, abusi, discriminazione, bullismo,) ma anche nel punire la “negligenza” l’”incuria”. Intendendo per “negligenza” il disinteresse ed il mancato intervento di un dirigente, tecnico o tesserato che anche a conoscenza di uno degli eventi puniti ometta di intervenire causando un danno, permettendo che venga causato un danno o creando un pericolo imminente di danno; laddove l’ “incuria”, evidente conseguenza della “negligenza”, viene qualificata come la mancata soddisfazione delle necessità fondamentali a livello fisico, medico, educativo ed emotivo. Il safeguarding è definito come il processo di protezione delle persone vulnerabili, bambini e adulti, da molestie, abusi e sfruttamento. Gli obiettivi del safeguarding sono quelli di garantire un ambiente sicuro e accogliente in cui tutti siano valorizzati e rispettati e congiuntamente disporre pratiche di prevenzione, contrasto e sanzione di qualsiasi condotta discriminatoria, forma di abuso e/o sfruttamento sulla persona, in ogni ambito, per ragioni di razza, origine etnica, religione, età, genere e orientamento sessuale, idee politiche, status sociale, disabilità e risultati delle prestazioni sportive. In particolare, l’art. 33 del D.Lgs. n. 36/2021 ha introdotto l’obbligo anche per le Società dilettantistiche di nominare un responsabile delle politiche di safeguarding, con lo scopo di prevenire e contrastare ogni tipo di abuso, violenza e discriminazione sui tesserati, e proteggere l’integrità fisica e morale dei giovani sportivi (cosiddetto “Safeguarding Officer”). Il termine per la nomina è stato prorogato allo scorso 31 dicembre 2024. Il Responsabile deve essere soggetto autonomo e indipendente, e deve essere individuato tra i soggetti che abbiano idonei requisiti di competenza e professionalità (ad esempio legali e/o pedagogiche). Può essere un socio purché non abbia ruoli di gestione che mettano in dubbio la sua indipendenza. La nomina deve essere comunicata alla propria Federazione; il mancato adempimento comporta l’applicazione di sanzioni federali (anche il diniego del rinnovo di affiliazione come risulta da alcune circolari federali), ma anche, in caso di commissione di gravi illeciti, “rischi penali” per condotta omissiva”.